23. Tre romanzi russi del Novecento
Questo testo è uscito in un libro di storia della letteratura di Feltrinelli scuola nel 2023.
Con la letteratura russa del secondo Novecento succede una cosa stranissima che, per quanto possa sembrare inverosimile, ha a che fare con un mio trasloco.
Nel 1993 ero a Mosca a preparare la tesi di laurea e abitavo nell’estrema periferia; con l’autobus e la metropolitana ci mettevo un’ora e venti ad arrivare alla Biblioteca Lenin, la seconda biblioteca più grande del mondo, in centro, dietro al Cremlino, dove studiavo nella sala di lettura numero 3, la sala di lettura più grande d’Europa, e un’ora e venti a tornare a casa.
La mia insegnante di russo a un certo punto mi aveva detto che, se volevo, una sua conoscente affittava una stanza in una casa dietro al Cremlino, cinque minuti a piedi per arrivare alla biblioteca; una casa famosa, mi ha detto, chiamata dai moscoviti la casa sul lungofiume, e alla quale lo scrittore Jurij Trifonov aveva dedicato un romanzo, che si intitolava proprio La casa sul lungofiume; «L’hai letto?», mi ha chiesto nel ’93 la mia insegnante di russo.
«No», le ho risposto io, «non l’ho letto , e tu? L’hai letto?».
«Per forza l’ho letto», mi ha risposto lei «era proibito».
La letteratura proibita, nella seconda metà del ‘900, in Russia, circolava più e meglio di quella ufficiale grazie a un fenomeno chiamato samizdat, parola che significa, letteralmente, autopubblicazione.
I manoscritti proibiti, rifiutati dalla censura, circolavano clandestinamente e la gente li copiava battendoli a macchina, in più copie, con la carta carbone, e se li passava; certe volte ti davano un romanzo per una notte, e lo dovevi restituire il giorno dopo.
Quando mi hanno chiesto di parlare di tre libri del secondo Novecento russo che mi sembrano importanti, mi sono venuti in mente tre libri che hanno avuto tutti dei problemi con la censura.
Il primo si intitola Mosca – Petuški e l’ha scritto Venedikt Erofeev (1938 1990).
Il sottotitolo di questo romanzo è «Poema» (alla stesso modo, nel 1842, Nikolaj Gogo’ aveva definito «Poema in prosa» il suo grande romanzo Anime morte) e, nella traduzione che ho curato io, è diventato, con una libertà che mi sono preso «Poema ferroviario».
Il libro è scritto alla fine degli anni ’60, e il protagonista è un ubriacone che deve andare a Petuški a trovare la sua donna e suo figlio, e monta su un treno dove sono tutti ubriachi (il biglietto non si paga in rubli, ma in grammi di vodka, il controllore gira con un bicchiere e riscuote un grammo per ogni chilometro di tragitto).
È difficilissimo riassumere Mosca – Petuški, dirò soltanto due cose: che la prima volta che sono stato a Mosca, nell’aprile del 1991, mi ricordo che c’era, su via Gor’kogo, a poche decine di metri dalla piazza Rossa, una specie di libreria volante e informale che si caratterizzava, più che per il fatto di essere volante e informale, per il fatto di vendere un libro solo, pile e pile di copie di Mosca - Petuški, il poema (ferroviario) di Venedikt Erofeev.
Il libro era appena uscito (nel 1989), e aveva in appendice un discorso che Aleksandr Veličanskij aveva pronunciato in occasione dei cinquant’anni di Erofeev, nel 1988, discorso intitolato Il fenomeno Erofeev nel quale Veličanskij diceva che il poema (ferroviario) Mosca–Petuški, in Russia, l’avevan letto tutti, «dal vetturino al primo poeta», che è una cosa che, in un altro modo, dodici anni dopo, nel 2001, Evgenij Popov scrive anche lui nell’introduzione a un’altra edizione di Mosca–Petuškì. «L’immortale poema di Venedikt Erofeev Mosca–Petuškì – scive Popov, – ormai lo conoscono tutti quelli che hanno un rapporto, per quanto minimo, con la letteratura o, nella peggiore delle ipotesi, con la vodka». Che è una cosa che, nel 2001, dopo dodici anni di edizioni russe di Mosca–Petuški, è comprensibile, ma nel 1988, quando in Russia il libro non era ancora stato pubblicato, com’era possibile dire che quel libro lì l’avevano letto tutti?
Per via del samizdat, quel fenomeno di cui parlavamo prima, fenomeno del quale parla uno scrittore che è autore del secondo libro che voglio consigliare, Sergej Dovlatov.
In una conferenza del 1982 intitolata Splendori e miserie della letteratura russa Dovlatov dice che in Russia c’è stato un periodo che se ti chiedevano qualcosa da leggere significava che volevano qualcosa in samizdat, un periodo in cui regalare testi pubblicati, testi cioè per i quali c’era stato il consenso della censura, era considerato una cafonata; in quel periodo, secondo la testimonianza di Dovlatov, le dimensioni del fenomeno del samizdat avevano raggiunto, in Russia, le dimensioni del fenomeno dell’alcolismo; Dovlatov racconta che all’epoca circolava la voce che una signora fosse andata dall’insegnante di letteratura russa di suo figlio e si fosse lamentata del fatto che non c’era verso di fare leggere a suo figlio Guerra e pace, il grande romanzo di Lev Tolstoj. Il professore del figlio aveva risposto «E io cosa ci posso fare?». «Non ne avrebbe un’edizione in samizdat?» aveva chiesto la signora. «Perché quella forse la leggerebbe».
Il testo di Dolvatov che consiglio di leggere si intitola La valigia, è stato pubblicato (negli Stati Uniti) nel 1986 e racconta che il protagonista, che, come Dovlatov, fa il giornalista ma vorrebbe fare lo scrittore, va all’ufficio emigrazione per capire come fare per emigrare (come ha fatto poi Dovlatov); gli dicono che ha diritto a non più di tre valigie. Lui si arrabbia, chiede come può fare entrare tutto in tre valigia, l’impiegata gli dice «Se non le sta bene scriva un reclamo».
Lui risponde «Mi sta bene», poi torna a casa e si accorge che una valigia basta e avanza.
Con questa valigia emigra e, appena arrivato in occidente, pubblica dei racconti su una rivista, lo pagano, compra dei vestiti occidentali e la roba che ha nella valigia non la usa più. Anni dopo, trasferitosi negli Stati Uniti, ritrova, in un armadio, la valigia; la apre, ne tira fuori otto oggetti, e scrive un capitolo per ogni oggetto raccontando il modo in cui ne è venuto in possesso.
L’Unione Sovietica che esce dal libro di Dovlatov è un paese stupefacente che somiglia molto a quello che ho conosciuto io quando ci sono stato. In uno dei capitoli della valigia Dovlatov racconta l’inaugurazione di un monumento a Lenin nella città di Čeljabinsk.
«Era stata organizzata una cerimonia solenne» scrive Dovlatov. «Si erano riunite circa millecinquecento persone.
Suonava una musica patetica, gli oratori pronunciavano i loro discorsi. Il monumento era coperto da un telo grigio.
Ed ecco che era arrivato il momento fatale. Accompagnati dal rullio dei tamburi, i funzionari locali avevano scoperto la statua.
Lenin era raffigurato nella sua nota posa di turista che fa l’autostop. La sua mano destra indicava la via verso il futuro, la sinistra la teneva nella tasca del cappotto sbottonato.
La musica si era fermata. Nel silenzio si era udito qualcuno che era scoppiato a ridere. Dopo un minuto rideva tutta la piazza.
Solo una persona non rideva. Era lo scultore leningradese Viktor Dryžakov. L’espressione di terrore del suo viso si trasformava gradualmente nella maschera dell’indifferenza e dell’irreparabilità.
Cos’era successo? Lo sventurato scultore aveva scolpito due berretti. Uno copriva la fronte del condottiero. Un altro Lenin lo teneva in mano.
I funzionari si erano affrettati a ricoprire con il telo grigio il fallimentare monumento».
L’ultimo romanzo del quale voglio parlare è un romanzo di fantascienza sovietico, Picnic sul ciglio della strada, dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij.
È un libro che è stato pubblicato in più di venti paesi ma è un libro che gli Strugackij ci hanno messo 8 anni a pubblicare, dal 1972 al 1980, e che hanno dovuto pubblicare in un’edizione «deturpata da duecento umilianti correzioni» della censura, come racconterà Boris Strugackij in persona.
C’è, nel romanzo, un personaggio che ha la dentiera, e a questo personaggio viene detto «Mettiti i denti e andiamo».
La censura sovietica ha preteso la soppressione di questa battuta «Mettiti i denti e andiamo», perché il libro dei fratelli Strugackij era destinato «a un pubblico di giovani e adolescenti, i membri dell’Unione della Gioventù Comunista, che vedono nella letteratura sovietica un manuale di morale, una guida per la vita», hanno scritto i redattori della casa editrice sovietica Molodaja Gvardija ai due autori.
Incredibile, questa gioventù sovietica che ignorava l’esistenza delle dentiere.
L’edizione completamente emendata da queste censure è uscita, in russo, soltanto nella raccolta delle opere pubblicata dalla casa editrice Stalker, a Doneck, tra il 2000 e il 2003, ed è stata tradotta in italiano, per la prima volta, nel 2022, per Marcos y Marcos, da Diletta Bacci e da me.
Il romanzo è ambientato in una città, Harmont, che fa parte di una «Zona».
Di Zone, nel mondo, ce ne sarebbero sei, e disposte in un ordine geometrico singolare: tre in un emisfero, e tre nell’altro, e le une agli antipodi delle altre, ma non secondo una linea che passi per un ipotetico centro della terra, ma seguendo delle linee che partono da un immaginario punto di sparo.
Cioè è come se una pistola enorme, a qualche centinaio di chilometri dalla superficie terrestre, avesse sparato tre colpi, e i fori di entrata e di uscita sul globo terrestre corrisponderebbero alle sei Zone.
In queste Zone succedono delle cose sovrannaturali, e pericolose, e utili, anche, tanto che l’energia usata nel mondo descritto dai fratelli Strugackij verrebbe tutta dalla Zona.
Cioè gli scienziati saprebbero come sfruttare la Zona per trarne energia, ma non saprebbero spiegare il fenomeno che determina questa resa energetica, e non saprebbero spiegare né prevedere la maggior parte dei fenomeni che si verificano nella Zona, tanto che l’ingresso nella Zona sarebbe interdetto ai cittadini, e la Zona recintata da fili spinati e controllata da militari.
Proprio per questo, nella Zona, ci sarebbe un traffico di Stalker, che sono come dei contrabbandieri che cercano di recuperare nella Zona tesori da vendere ai collezionisti, o ai ricettatori, e soprattutto di arrivare a una fantomatica sfera dorata che avrebbe il potere di realizzare i desideri di chi riesce ad arrivarci davanti; alcuni di questi Stalker, nel cercare di raggiungere la sfera dorata, sono morti, e i loro corpi son rimasti lì, nella Zona, monito per gli Stalker successivi.
La vita di uno di questi Stalker e la storia del suo rapporto con la sfera dorata è la traccia che i fratelli Strugackij hanno scelto per farne la spina dorsale di questo romanzo ambientato in un futuro imprecisato che il regista Andrej Tarkovskij ha reso con dei muri scrostati, con dei locali deserti, con delle jeep militari, con l’immancabile acqua che scorre e che cola in un film celebre e meraviglioso, che si intitola Stalker (1979).
La prima volta che ho letto Picnic sul ciglio della strada, quando sono arrivato al punto che i protagonisti erano lì, nella Zona, e vedevano la sfera che si diceva realizzasse i tuoi desideri, io questa cosa, che nella vita me l’avevan detta, delle volte, «Se potessi realizzare un tuo desiderio, cosa desidereresti?», questa cosa che nella vita se te lo chiede qualcuno ti vien da pensare che è puerile, infantile, e che si trastulla con delle fantasie da poco io, la prima volta che ho letto Picnic sul ciglio della strada, quando sono arrivato lì io ci ho pensato davvero, a qual era il mio più grande desiderio.
E mi viene da dire che i fratelli Strugackij, col loro libro, sono riusciti a far di questa cosa puerile, e infantile, sono riusciti a fare di questa fantasia da poco una cosa vera, e potente, che ti scava dentro, che supera tutti gli schermi che hai dentro testa e ti tocca, e questa, forse, è l’arte, ho pensato.
–––––
Venedikt Erofeev, Mosca – Petuški. Poema ferroviario, trad. di Paolo Nori, Macerata, Quodlibet 2014.
Sergej Dolvatov, La valigia, a cura di Laura Salmon, Palermo, Sellerio 1999.
Arkadij e Boris Strugackij, Picnic sul ciglio della strada. Stalker, a cura di Paolo Nori, trad. di Diletta Bacci e Paolo Nori, Milano, Marcos y Marcos 2022.
State bene.
Buongiorno. Ho letto Dovlatov quando vivevo a Novosibirsk, alla fine degli anni 90. È diventato subito uno dei miei autori preferiti... Grazie per il suoi articoli e buon lavoro. Don Ferdinando
grazie. buona giornata