35. È inutile?
In settembre esce Non è colpa dello specchio se le facce sono storteche comprende il testo dello spettacolo teatrale La libertà. Primo episodio, da cui viene il pezzo che metto qua sotto.
Dopo, nel gennaio del 2009, compiva gli anni mio fratello Emilio, mi sono trovato a Parma a cena con i miei due fratelli e mia mamma. Era il periodo della crisi dell’Alitalia, e la prima mezz’ora che siam stati a tavola mio fratello Giulio, mio fratello Emilio e mia mamma hanno parlato solo di trasporti aerei, e ne han parlato come se fossero degli esperti. Io a un certo punto ho guardato mia mamma le ho detto Mamma, tu non hai mai volato in vita tua, cos’è successo, hai fatto un corso? C’è un saggio bellissimo di uno studioso russo che si chiama Bachtin, il saggio si intitola La parola nel romanzo e lì Bachtin dice che noi, le cose che diciamo, il 50 per cento non sono cose che diciamo, sono cose che ripetiamo. Quel saggio è degli anni 30, e adesso, secondo me, 90 anni dopo, per me, perlomeno, quella percentuale lì è salita al 98 per cento, e i giorni che mi viene un pensiero mio che l’ho pensato io sono giorni da segnare sul calendario noi siamo veramente, mi sembra, tutti impastati di sonno, non sappiamo neanche distinguere dentro la testa quel che abbiam pensato noi e quello che abbiamo sentito dire dagli altri e io non lo so, quanto si può andare avanti, così, forse all’infinito, ma forse anche no.
Viene in mente il discorso che il poeta Aleksandr Blok aveva fatto in occasione di non so più che anniversario della morte di Puškin, causata dal duello di Puškin con D’Anthès, quando Blok aveva detto che Puškin non era morto per il proiettile di D’Anthès, era morto per mancanza d’aria.
Ecco, io ho l’impressione che noi c’è il rischio che finiamo così, che moriam soffocati, noi siamo tutti impastati di sonno e non siam più capaci di fare niente, neanche di aver dei pensieri nostri, o di distinguere i nostri dagli altri, e anche se ci riuscissimo, con un gran sforzo, per un attimo, sarebbe probabilmente inutile.
Cioè il mondo comunque andrebbe per conto suo e noi non avremmo nessuna possibilità non solo di mettere in discussione l’andiamo del mondo, neanche di dare il minimo fastidio. Ecco.
E allora uno potrebbe pensare, Allora non bisogna far niente? No. A me, in questi casi, di solito, quando penso queste cose, mi torna in mente un passo del Cyrano di Bergerac, di Rostand.
Cosa dite? È inutile? Lo so. Ma non ci batte nella speranza del successo. So bene che alla fine io sarò sconfitto; non importa. Io mi batto, io mi batto, io mi batto.
E se dobbiamo poi essere sconfitti, come sarà, probabilmente, mi sembra sensato quel che dice Iosif Brodskij quando dice, nel 1987, in un discorso tenuto a Vienna che si intitola La condizione che noi chiamiamo Esilio: «Comunque, se vogliamo avere una parte più importante, la parte dell’uomo libero, allora dobbiamo essere capaci di accettare, o almeno di imitare, il modo in cui un uomo libero è sconfitto. Un uomo libero, scrive Brodskij, quando è sconfitto, non dà la colpa a nessuno».
State bene.
Ciao Paolo, sono venuta per conoscerti l'altro ieri a Genova alla presentazione dei finalisti dello Strega. Ho rimediato anche un buon posto, barando, tra quelli riservati. Ero lì che non vedevo l'ora di poterti ringraziare per quelle ubriacature di pensiero, per tutti quei minestroni di allegria e malinconia che mi propini, dove la malinconia e l'allegria sono inestricabili come il bianco con il rosso delle uova strapazzate, e come si fa a capire dove finisce l'una e comincia l'altra, e si rimane straniti, ma è una goduria. Sono venuta lì, con il mio libro nuovo di pacca appena comprato per l'occasione, da farti firmare. Con i miei occhioni iniettati di gioia. E niente, non c'eri!! Possiamo fare come se ci fossimo conosciuti?
Tutto è già stato detto. Siamo l'uno sulle spalle dell'altro. Grazie per la tua ispirazione.
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