42. Un libro vietato
Ieri, al Maxxi di Roma, ho parlato del Maestro e Margherita e oggi mi è venuto in mente questo pezzo che ho scritto e che adesso tra poco esce in un libro sulla censura, tra qualche settimana.
Tra le opere di Bulgakov vietate in Unione Sovietica, la più celebre, quella che Eugenio Montale ha definito «Opera di magia», è Il maestro e Margherita, il cui primo capitolo, “Non parlate mai con gli sconosciuti”, comincia in una via del centro di Mosca, la Malaja Bronnaja.
Ci son due signori che, camminando verso gli stagni Patriaršie, parlano dell’inesistenza di Gesù Cristo, poi arrivano agli stagni e si fermano a un chiosco di bevande e chiedono alla signora che ci lavora dell’acqua minerale, e l’acqua minerale non c’è; allora le chiedono della birra, e la birra non c’è; allora le chiedono cosa c’è, e lei risponde che c’è del succo d’albicocca. Ma è caldo.
E loro decidono di prendere due succhi di albicocca caldi, e lei apre i succhi di albicocca e si sparge nell’aria un odore che in russo è «parikmàcherskoj», che io nella mia testa l’ho sempre tradotto “da pettinatrice”, che era il modo di mia nonna di chiamare le pettinatrici.
E poi i due ricominciano a parlare dell’inesistenza di Gesù Cristo e un signore straniero, che gira da quelle parti con una giacchetta a quadri e un gatto enorme che si chiama Begemot, che in russo significa ippopotamo, e che monta sugli autobus, (il gatto), il signore, dicevo, che è molto gentile, si scusa, e dice che non ha potuto fare a meno di ascoltare la loro conversazione e, gli dispiace, ma i signori si sbagliano, Gesù Cristo è esistito.
E dopo un po’ salta fuori che quel signore lì è stato a colazione con Kant, anche se Kant è morto da più di un secolo, perché lui, quel signore lì, è il diavolo, cioè «Parte di quella forza che eternamente vuole il male ed eternamente compie il bene», come dice l’epigrafe, che è presa da Goethe.
E quando un aiutante del diavolo, che si chiama Korov’ev, va con Azazello, un altro della brigata diabolica, nella sede dell’unione degli scrittori e prova a entrare, e una donna lo ferma e gli chiede «Siete scrittori?», e lui risponde «Certo», e lei gli chiede le tessere, lui allora le dice: «Ma per convincersi che Dostoevskij è uno scrittore, ha per caso bisogno della tessera? Prenda un suo libro qualsiasi e ne legga cinque pagine e lo capisce subito, che è uno scrittore. Secondo me Dostoevskij non ha mai avuto tessere», dice Korov’ev.
E quando la signora gli dice: «Lei non è Dostoevskij», Korov’ev le chiede: «Come fa a saperlo?».
E quando lei gli dice: «Dostoevskij è morto», «Protesto!», dice Korov’ev, «Dostoevskij è immortale!»
Un altro del gruppo di Martynov, Korov’ev, un collega dei filorussi anonimi con la passione per Dostoevskij.
E quando poi il diavolo, Woland, incontra, sul tetto di un bellissimo edificio del centro di Mosca che diventerà poi parte della biblioteca Lenin, un inviato di Dio, Levi Matteo, ex assessore delle imposte, che lo tratta male, e non lo saluta, e lo chiama Spirito del male, il diavolo allora gli chiede: «Se sei venuto da me, perché non mi hai dato il buongiorno?».
E Levi Matteo gli risponde: «Perché non voglio che il tuo giorno sia buono».
E allora il diavolo dice: «Parli come se non conoscessi le ombre, e neppure il male. Ma cerca, se puoi, di meditare su questa domanda: che mai farebbe il tuo bene, se non esistesse il male, e come apparirebbe la terra, se scomparissero le ombre? Gli uomini, le cose, proiettano ombre. Guarda l’ombra della mia spada. E ci sono le ombre degli alberi e degli esseri vivi. Vuoi scorticare tutto il globo terrestre, togliendogli tutti gli alberi, tutti gli esseri vivi, per la tua fantasia di godere della nuda luce? Tu sei uno stupido».
E questo diavolo, protagonista di un romanzo, scritto nell’atea Unione Sovietica, in cui si afferma l’esistenza storica di Gesù Cristo, è uno dei personaggi più belli del novecento, secondo me, e quando son stato a Mosca per la prima volta, nel 1991, il primo posto che ho cercato è stato la Malaja Bronnaja, e gli stagni Patriaršie, e negli stagni l’acqua era ghiacciata, e c’eran dei bambini che giocavano a hockey e mi sembravan bravissimi e mi era sembrato, me lo ricorderò sempre, un’allucinazione, probabilmente, ma mi era sembrato di sentire odore di pettinatrice e avevo pensato che io, nella mia vita, se non avessi letto quel romanzo lì di Bulgakov, non avrei mai riconosciuto l’odore di pettinatrice e mi è venuto su un senso di riconoscenza che mi faceva piangere.
E una volta che ci son stato, nel 2017, ho cercato il chiosco di bevande per bere un succo di albicocca e non l’ho trovato, ho trovato invece un cartello, uno di quelli rotondi, cerchio rosso su fondo bianco, con una striscia rossa nel mezzo, un divieto, e in nero c’eran le sagome che definivano cos’era vietato ed erano un signore straniero elegante, il suo scudiero, Korov’ev, e un gatto enorme, come un ippopotamo, e sotto c’era scritto che «È vietato parlare con gli sconosciuti», in quella piazza di Mosca.
E di fronte al cartello, avevo saputo poi dopo, c’eran montate delle telecamere perché quel cartello, i primi quattro anni che era stato montato, l’avevan rubato sei volte, per quello forse quando ci andrete, se mai ci andrete, forse non lo troverete, ma sappiate che dicono che c’è stato, e lo dico anch’io.
Questo se siete in grado di reggere le tensioni, altrimenti, se volete evitare le tensioni, e per questo non leggete romanzi russi, io vi capisco.
E state bene.
Ho provato gratitudine anche a leggere queste righe, le quali, poi, sotto il titolo “State bene”, curiosamente, fanno esattamente quel che promettono.
Anch’io, da giovane, mi recai lì per prima, a Mosca. Anche ora, da ormai non più giovane, mi recherei sempre lì per prima, a Mosca, se ci andassi ora. Salvata la foto del cartello. Sono figlia dei tempi dei chioschi con venditrici dai musi lunghi e l’aria scocciata. Sono anche figlia dei tempi in cui l’ateismo era l’unica certezza e la fede veniva derisa. Semmai si discuteva scientificamente sulla questione. Non so se era una cosa giusta, ma ho adorato la figura di Voland dal primo istante e, per assurdo, l’unica cosa che poco comprendevo era quando gli si chiedeva la nazionalità e lui rispondeva forse sì. È tra le cose che ho stampato nella mente e che è sempre attuale, in ogni sua sfumatura, luogo e declinazione temporale. Stamattina ho letto un articolo del New Yorker sull’uso dell’I.A. da parte degli studenti (americani) nella scrittura e nello studio in generale al college e alle università e mi ha fatto molto riflettere. Se demonizzassi sarei una stupida. Se non la considerassi lo sarei lo stesso. Tutto sommato, da genitore, certe volte ho l’impressione che crescere un figlio nell’Unione Sovietica negli anni ‘80, era quasi paradisiaco rispetto ad oggi. No, dico, proprio io che sono cresciuta sotto un regime che della magia di Bulgakov aveva solo il grigio silenzio di quei grotteschi momenti di quotidianità assurda. Io avrei un miliardo di domande da farle, Paolo Nori, sul suo lavoro di traduzione del Maestro e Margherita, e non solo. La libertà di espressione che abbiamo qui, una volta trovato il coraggio di rispondere a qualcuno che sa scrivere e che, insomma, sa, è un’arma a doppio taglio. Un giorno spero tanto di poterla di nuovo ascoltare e di poter fare una piccolissima parte delle domande. Intanto grazie, grazie, grazie.
Mi ha fatto venire voglia di rileggerlo. Avevo 19 anni e rimasi folgorata. Adesso spero di no, che ho il cuore provato